È in vigore la direttiva con l’obiettivo di fermare il caporalato nella moda

di Silvia Menini

Innanzitutto, diamo una definizione di caporalato, per chi magari non fosse proprio affine a questo termine.

Per caporalato si intende l’intermediazione, il reclutamento e l’organizzazione illegale della manodopera nonché allo sfruttamento lavorativo. Vi dice qualcosa?

Ebbene sì, siamo tutti a conoscenza dei “pasticci”, se così li vogliamo chiamare, che vede come protagonisti i grandi marchi della moda quando si parla di manodopera. Questo a testimonianza del fatto che quello che si paga è principalmente il marchio e la pubblicità e poco la qualità e il fatto che spendono molto (poco) sulla manodopera.

Il 25 luglio è entrata in vigore la Corporate sustainability due diligence directive Ue, e cioè la direttiva che impone alle imprese di grandi dimensioni di farsi carico del rispetto dell’ambiente e delle persone. Questo implica che le stesse devono vigilare, pena multe salatissime, che quotidianamente sicurezza e diritti umani siano rispettati.

Sfido chiunque a pensare che non si sentiranno più di casi di caporalato come spesso è capitato nel mondo del fashion system oltre che nel lusso negli ultimi mesi, ma direi anche negli ultimi anni.

Sicuramente questa novità mette ancora più alle strette le aziende che dovranno adeguarsi e stare all’occhio visto che, ormai, si è sempre più attenti a queste tematiche che sono sempre più a cuore.

Ma cosa potrebbe andare storto? Innanzitutto, la filiera della moda è molto più lunga e complessa di quello che si possa pensare e, spesso e volentieri, tenere sotto controllo i comportamenti dei fornitori e dei fornitori dei fornitori diventa molto complicato… e quindi avere il piano e costante controllo richiede sicuramente un monitoraggio adeguato oltre a severi controlli e, diciamocelo pure, anche costi aggiuntivi.

È altresì vero che, il rischio di incorrere in multe oltre che perdere i clienti che non accettano più certe situazioni e, soprattutto di pagare cifre da capogiro per accessori e abbigliamento che all’azienda costano molto molto molto meno… potrebbe in effetti aiutare che il processo fili liscio.

Vediamo ora nel dettaglio cosa implica questa nuova direttiva.

Come abbiamo già detto, è entrata in vigore il 25 luglio 2024 con l’obiettivo di promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile nelle operazioni delle aziende e nelle loro catene del calore globali. Queste nuove norme implicano che le aziende dovranno identificare e affrontare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente delle loro azioni all’interno e all’esterno dell’Europa. L’intento, quindi, è quello di avere una protezione dei diritti umani, compresi i diritti dei lavoratori, creare un ambiente più sano per le generazioni presenti e future, compresa anche la migrazione dovuta al cambiamento climatico, assicurare maggiore trasparenza in modo da portare a scelte consapevoli e migliorare anche l’accesso alla giustizia da parte delle vittime.

Tutto questo, però, rappresenta anche un vantaggio per le aziende che avranno un quadro giuridico chiaro e unico nell’UE, maggiore fiducia da parte dei clienti e un impegno anche da parte dei dipendenti ma anche una maggiore consapevolezza degli impatti negativi delle imprese sui diritti umani e sull’ambiente, minori rischi di responsabilità così come una migliore gestione dei rischi, maggiore resilienza e aumento della competitività.

Da qui può scaturire anche una maggiore attrattiva dei talenti, gli investitori orientati alla sostenibilità e i committenti pubblici. Maggiori incentivi all’innovazione, accesso ai finanziamenti completano il quadro. Anche i Paesi in via di sviluppo beneficiano della direttiva che consente una migliore protezione dei diritti umani e dell’ambiente, investimenti sostenibili, sviluppo di capacità e sostegno alle imprese della catena del valore.

D’altro canto le aziende in questione dovranno sobbarcarsi l’obbligo di essere diligenti e identificare e gestire dei potenziali nonché effettivi impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente nelle attività dell’azienda, delle sue filiali e, se collegate alla sua catena del valore, dei suoi partner commerciali. Inoltre, la direttiva stabilisce l’obbligo per le grandi imprese di adottare e attuare, attraverso i migliori sforzi, un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici allineato con l’obiettivo di neutralità climatica al 2050 come stabilito dall’Accordo di Parigi e con gli obiettivi intermedi previsti dalla Legge europea sul clima.

Ma quali requisiti devono avere le aziende per vedersi applicate queste nuove norme?

Innanzitutto, si parla di grandi società di capitali e di persone appartenenti alla UE e quindi si tratta di circa 6 mila aziende con oltre 1000 dipendenti e più di 450 milioni di euro di fatturato netto a livello mondiale. Ma non solo, questa direttiva va a interessare anche circa 900 grandi imprese non UE con un fatturato superiore a 450 milioni di euro di fatturato (netto) nell’Ue.

Le microimprese e le piccole e medie imprese non sono coperte dalle norme proposte. Tuttavia, la direttiva prevede misure di sostegno e protezione per le pmi, che potrebbero essere indirettamente interessate in quanto partner commerciali nelle catene del valore, con contratti di licenza, per esempio.

Come avevo accennato prima, questa normativa si traduce anche in costi maggiori per le aziende e che coinvolgeranno proprio la creazione e gestione del processo di due diligence.

Le sanzioni eventuali per le aziende inadempienti potranno arrivare fino al 5 per cento del fatturato mondiale netto nell’esercizio finanziario precedente la decisione di ammenda. Ma non solo, si parla anche di responsabilità civile: gli Stati membri garantiranno che le vittime ottengano un risarcimento per i danni derivanti da una mancata diligenza intenzionale o per negligenza.

Per organizzarsi in tal senso, le aziende hanno ancora del tempo. Gli Stati membri, infatti, devono recepire la direttiva nel diritto nazionale e comunicare i relativi testi alla Commissione entro il 26 luglio 2026. Un anno dopo, le norme inizieranno a essere applicate al primo gruppo di società, seguendo un approccio scaglionato fino ad arrivare alla piena applicazione il 26 luglio 2029.

Al gruppo 1 appartengono le aziende “di grandi dimensioni”

Al gruppo 2 le aziende capogruppo di gruppi “di grandi dimensioni”

Al gruppo 3 le aziende che hanno stipulato accordi di franchising/licenza.

La Commissione pubblicherà una serie di linee guida che aiuteranno le aziende a svolgere la due diligence.

Inoltre, la direttiva stabilisce l’obbligo per le grandi imprese di adottare un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici che mira a garantire, attraverso i migliori sforzi, che il modello di business e la strategia dell’azienda siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con il contenimento del riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi in linea con l’Accordo di Parigi e con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica come stabilito dal Regolamento (Ue) 2021/1119, compresi gli obiettivi intermedi e di neutralità climatica per il 2050.

Gli obblighi principali di due diligence per le aziende, dunque, comprendono l’integrare la due diligence nelle politiche aziendali e nei sistemi di gestione del rischio.

Altri obblighi includono l’identificare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente nelle operazioni dell’azienda e delle sue controllate e dei suoi partner commerciali nella catena di attività oltre a classificarli in base alla loro gravità e probabilità.

 

 

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